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«Non vi sono immobilità in natura. L’universo è fluido e volatile – la stabilità non è che una parola relativa»

R.W. Emerson

Come Emerson afferma, la vita di un uomo è un circolo. Siamo immersi nella circolarità, in un movimento incessante a cui tutte le cose partecipano.

Circoli concentrici, natura circolare.

Anche Dio è circolare con “il centro ovunque e la circonferenza in nessun luogo”, come diceva Sant’Agostino.

L’uomo partecipa a questa circolarità prima di tutto con gli ingranaggi della propria mente. Meccanismi imperscrutabili, fatti di incastri e sovrapposizioni, con la predominante forma a cerchio che collega e aziona.

La vita degli uomini è il sovrapporsi di cerchi concentrici.

Da questa forma primaria e originaria, motore dell’universo, nascono quasi spontaneamente le opere di P.H. Wert: circolarità che si intrecciano, si sovrastano o semplicemente si sfiorano, ripercorrendo e ricreando l’eterno divenire che non si proietta incessantemente in avanti, ma ritorna a sé, nel centro che è il principio e la fine.

È la natura trascendente e divina, ma è anche l’operosità del genere umano: meccanismi come ingranaggi costruiti dall’uomo, dai primi rudimentali attrezzi agricoli fino alle più moderne macchine industriali.

Le creazioni di Wert rispecchiano, in tal senso, il territorio in cui sono nate: la laboriosa Emilia Romagna, che è una testimonianza dell’oggettivarsi di questi archetipi attraverso l’ingegnosità dell’uomo costruttore. Realtà meccaniche e motoristiche diventano in tal modo tangibili, una sapienza tecnica che ricrea il movimento dell’universo.

Un sogno guida la mano dell’uomo in un gioco di apparizioni e nascondimenti, di linee parallele e di intrecci. È il motore che ne scaturisce, così che il movimento diventi perpetuo e inarrestabile.

Le macchine sono l’oggettivazione del nostro pensiero, lo specchio della natura con la sua potenza.

Acrilico e olio su tela è la tecnica usata per la realizzazione di queste opere.

Ombre e luci, sovrapposizioni e occultamenti nascono quasi spontaneamente, emergendo da un pensiero universale. Come illuminazioni che vengono fuori con pazienza: dallo sfondo le prime linee tracciate con matite pastello acquerellabili, per poi stendere il colore acrilico e creare le campiture delle prime figure. Ma è il colore ad olio a dare il tocco finale con la tecnica della velatura che perfeziona, ultimandone le forme, i giochi cromatici.

Il pensiero della forma viene in un secondo momento, prima sono le emozioni a guidare la mano dell’artista. L’arte diviene allora tecnica, facendo emergere più nitidamente ciò che l’inconscio aveva fatto scaturire dal profondo.

Sarà poi nell’incontro con lo spettatore che l’opera compirà il suo cammino: dalle tracce date alla razionalità, per risalire pian piano ai meandri dell’io più intimo, rivivendo le stesse arcane emozioni che le hanno generate.

Tutto ritorna nell’ingranaggio originario, che è un circolo generatore di movimento.

Alessandra De Bianchi